Critica

Le prime sculture di quando aveva sette anni

Quarantatré anni fa, nella primavera del’22, Giovanni Carena era un bambino di sette anni e nel tempo che la scuola gli lasciava libero accudiva al pascolo delle mucche su quei terreni umidi e fertili che circondavano Airasca.
Fu uno di quei pomeriggi che il piccolo Giovanni iniziò la sua prima attività artistica, la scultura. Fornito di un coltellino che serviva al padre per gli innesti di piante, raccolto il ramo nodoso di un albero, il ragazzetto di allora seppe dare al legno una prima sagoma che doveva essere di Madonna. Si appassionò talmente a quel gioco, o divertimento, che non passava settimana senza intagliare un qualsiasi pezzo di legno che trovava, e le figura erano sempre le stesse anche se con diverse espressioni, a seconda del suo già mutevole umore.
Non era allora una rappresentazione fantastica perché il Carena, almeno nella forma, cercava di riprodurre quell’immagine di Madonna che aveva trovata nei libri di catechismo, dandole ogni volta una diversa espressione, fin quando la sua sazietà di perfezione non gli diceva “Giovanni, così va già bene”. Allora lasciava la scultura di Madonne per dedicarsi ad altri soggetti.
Molti anni più tardi, siamo nel ’38 a Barletta, il Carena per vincere l’ozio militare si accostò per la prima volta alla pittura, servendosi di quei pochi e stinti colori che riusciva a trovare nei negozietti della parte vecchia della città. Forse proprio da allora il giovane militare decise il rinnegamento della scultura per avvicinarsi all’espressione pittorica, dove il colore aveva la parte predominante e meglio avvicinava il carattere del giovane militare a quelle che erano le sue sensazioni di uomo.
Se di esempio si può parlare, il maestro del giovane pittore fu Paulucci, per la sua briosità di sviluppare taluni soggetti, per i colori vivi che sapeva dare alla sua pittura. Fu così che il Carena fece le prime amicizie nell’ambiente artistico soprattutto piemontese ed allacciò rapporti cordiali con alcuni tra i maggiori esponenti della pittura torinese, Bertola, De Sanctis, Alexandri, Pontecorvo, ma soprattutto quello che il Carena di oggi definisce il suo padre dell’arte, il Buglione.
Oggi il pittore pinerolese, almeno di adozione, ha perso molte di quelle amicizie di allora: i casi della vita, lo stesso carattere del Carena, la sua ingenua schiettezza, il suo sempre mutevole umore, tutti questi fatti hanno provocato un certo distacco tra Carena e i suoi colleghi piemontesi; non solo con questi, però, ma anche con talune gallerie, certi esponenti di un’arte prettamente commerciale che tutto adattano alle necessità, al caso, anche “se nelle opere, il sentimento, la partecipazione, il trasporto affettivo sono nulli”, così riassume il Carena taluni movimenti pseudo pittorici.
Non ha paura nei suoi giudizi il pittore, e le frecciate il più delle volte colpiscono a segno; non ha pietà per nessuno, eppure dopo taluni suoi interventi troppo energici, dove l’oratoria ha indubbiamente la sua parte, si pente di quanto ha detto, di ciò che ha detto: “ho fatto un buco, ah se ci avessi pensato prima …”.
Ma come li giudica il maestro – di professione il Carena è insegnante – i suoi clienti? “Ho una scarogna maledetta, vengono solo clienti senza soldi, e i buoni intenditori sono pochi … Ma se venisse uno solo, ricco, sarei disposto a vendere tutti i pezzi della mia produzione, oltre tremila, per trenta milioni …”.
E cosa ne farebbe dei trenta milioni? “Comprerei una villa con uno studio immenso, con vetrate che guardino verso la città, con porte ampie, ma senza usci, con un forno per riprendere come vorrei la scultura …”.
E perché le porte senza usci? “Per sentirmi meno solo quando dipingo, per udire la voce di qualcuno, per non trovarmi sempre un pesce fuor d’acqua in questo mondo tutto teso all’individualismo”.
Malgrado questi sentimenti, queste speranze, questa necessità di sentirsi meno solo, il Carena è un solitario.
“Sono stato costretto a scegliere questa forzata solitudine anche se mi costa; le remore della vita familiare; come potrei fare altrimenti? Poi nell’ambiente artistico io sono un isolato, non mi lego alle gallerie”. Eppure, malgrado questa riluttanza, alcune gallerie continuano a richiedergli dei quadri: a Torino, a Cuneo, a Genova, a Sanremo, le opere esposte dal pittore pinerolese non sono poche ed a queste si possono aggiungere le tele vendute a Buenos Aires, a Londra, a Marsiglia, a due ingegneri di Beloit negli Stati Uniti.
Questa riluttanza a legarsi con altri si può forse spiegare con la visione che il Carena ha della pittura: per lui si dovrebbe tornare alla forma di bottega, dove il maestro dà le direttive, dove gli allievi apprendono gli insegnamenti del maestro. “Ed è per questo – aggiunge il pittore – che io vivo fuori del mio tempo. Aveva ragione quella turista francese che ha acquistato un mio quadro quando mi disse: “ma lei doveva nascere 50 anni prima!”.
Tracciate le prime bozze di una tela o di un acquerello devo almeno osservarlo dieci – dodici volte prima di convincermi della sua bontà. Se sto cenando e non ho tempo di andare ad osservare la mia creatura ci va la moglie, lo guarda lei per me. Poi se è necessario nel corso della notte mi alzo e torno ad osservare questa mia creazione che sta per prendere il colore.
Il colore per me è determinante in un quadro, ma a questo si deve aggiungere la forma, entrambi disposti razionalmente, costruiti secondo i miei intendimenti”.
Questo è il lavoro manuale preceduto però dall’invenzione essenziale nella pittura. “Un tempo, quando per raggiungere la casa tornando da scuola ci voleva parecchio tempo, portavo sempre con me un taccuino su cui annotavo le mie impressioni, la mia emotività. Ora non più, in due minuti, torno a casa e ho tempo a ricordare e riportare su tela quanto mi ha colpito, risvegliando in me sensazioni e sentimenti nuovi”.
Interviene la moglie: “Il disordine è all’ordine del giorno della sua attività; se non dipinge un giorno è già di cattivo umore, per lui dipingere è una necessità: rinuncerebbe a tutto per la pittura”. E il marito di rimando: “Per me la pittura è tutto, ogni quadro è un’esperienza nuova; della casa, dei fastidi non mi sono mai voluto interessare: sono fuori del mio ordine mentale. Ed è per questo che nel cuore sono sempre giovane malgrado gli anni; come tutti i giovani, sono un ingenuo, un semplicione: non so fare assolutamente i miei affari …”. Questi alcuni flash sulla vita e sul carattere di Carena. Il suo hobby è ormai arci noto, la raccolta di pipe. Meno note le sue strane manie: i coltelli in tasca e l’avarizia nella carta, tanto che è tentato a raccogliere qualsiasi pezzo di carta che trova per la strada. Ciò in evidente contrasto con la sua abitudine a lavorare con attorno a se materiale a volontà anche se poi non gli servirà. Quella dei coltelli però è veramente una strana mania di pittore. A che servono? “A tutto, in ogni eventualità tornano utili. Se parto di casa senza coltello faccio subito ritorno per procurarmelo”.

“L’Eco del Chisone”, 23 dicembre 1965 Pier Giovanni Trossero

 

Pittor, che vaghi d’uno in altro loco
Incontro al bello dal desìo portato,
A te grave non sia di questi colli
Superar le eminenze: affretta il passo;
Volgi attorno per l’ampio aëre terso
Gli occhi bramosi e, se tu poi, raffrena
Quell’improvviso palpito di gioia
E di stupor che t’agita ogni fibra,
E quel lungo respir che agile e pieno
T’esce dal petto, e quel festevol grido
Che dai recessi dell’estatic’alma
Velocemente sulle labbra erompe.

da “Pinerolo” – Carme di F. Ramognini – 1870


Un cantore

Nei giorni di preparazione della mostra storica dedicata ai “400 anni di Pinerolo città” mi è capitato tra le mani, e mi sono soffermato a leggerlo, il “Carme” di Francesco Ramognini. Ho cercato allora qualche riferimento su Emanuele Filiberto (il Personaggio che concesse il titolo di città) e più che i versi dove “… esuberante / letizia popolar, plausi ed evviva, / estrepito di feste inusitate / un di allegraron l’anima commossa / al coronato Eroe di San Quintino …”, mi piacquero quelli dedicati al pittore che vaga “d’uno in altro loco / incontro al bello dal desìo portato”.
E subito l’anonimo pittore si è vestito della figura di Giovanni CARENA che per noi, con “occhi bramosi”, ha raffrenato il “palpito di gioia e di stupor” suscitato dal nostro vecchio borgo, a contatto col selciato, con i muri vetusti e stanchi, con le porte, con gli androni, con i cortiletti dove palpita una vita singolare, umile e nascosta, dove alle grida ludiche ingenue infantili s’alterano spesso vociare di rabbia, pianti di neonati, commenti colorati ad alta voce di donne giovani ed esuberanti, canzoni, uscire dalla boccascena austera di una finestra incorniciata di cotti ogivali.
Carena si è addentrato nell’animo della vecchia Pinerolo, più che per tramandarci il brandello di un muro merlato, per farci conoscere la vita di quelle case, il respiro della gente mescolarsi con l’odore dell’aglio soffritto e della minestra: angoli poco noti, i più nascosti che gli si sono rivelati tra i più interessanti pittoricamente ed umanamente e che lui ha affermato con una rapida annotazione grafica sul foglietto del taccuino o campito col pennello a larghe macchie di acqua e colore.
Un’antologia unitaria dei soggetti dove continuo è il succedersi di salite e di discese e dove la luce prorompe, taglia, si increspa sui tetti, dilata lo spazio.
Un’antologia di acquerelli su Pinerolo che ben si inquadra con i cimeli e i documenti antichi e che canta l’amore sempre giovane di un pittore per la sua città.

Presentazione per la Mostra Personale “Palazzo Vittone”, Aprile 1975.
Mostra Celebrativa dei “400 Anni di Pinerolo Citta”
Mario Marchiando Pacchiola

 

Giovanni Carena: un pittore da "scoprire"

Giovanni Carena è uno degli artisti più completi e più puri tra quelli che operano nel pinerolese e oltre.
Per capire questo artista bisogna viverci o averci vissuto assieme.
Lasciate che vi parli di lui come l'ho conosciuto e come lo conosco.
Nei primi degli Anni 50 io frequentavo le elementari di Vigone. La scuola allora, fatte salve pochissime e lodevoli eccezioni, era una barba continua. L'italiano si insegnava a furia di pensierini e termini insulsi, l'aritmetica era al due più due e di insiemistica neanche l'ombra, la geografia era un "puzzle" rompicapo e rompiscatole e così via.
Ma un anno questa noia fu rotta da un avvenimento che né io né i miei compagni dimenticheremo. Arrivò un nuovo maestro. Alto, virile, la barba a punta selvaggia e provocatoria, la pipa tra i denti tutto il giorno.
Appena entrato in classe capimmo che la scuola non sarebbe più stata uguale a prima.
Le scienze naturali divennero vive e appassionanti con tutta una attività che andava dall'erbario alla raccolta degli insetti. I temi divennero fonte continua di discussione in classe; ma, soprattutto, il nuovo maestro era pittore e si era messo in testa di farci diventare tutti suoi discepoli. Così non passava giorno senza che riempissimo carte (di qualsiasi tipo: anche quella per impacchettare il formaggio) di disegni ad acquerello, la tecnica preferita dal maestro che era proprio Giovanni Carena.
Il Carena di allora entusiasmava i bambini, colpiva con la sua pittura i semplici e i poveri e lasciava pressoché indifferente la cosiddetta "élite" del mio paese che badava solo alla somiglianza dei ritratti.
Quello che ci entusiasmò subito era la forza, la tenacia, il sudore che ci metteva nelle sue tele; sempre sofferte anche visceralmente.
Amava la pittura a tal punto da fare quasi giornalmente a pugni col bilancio familiare per radunare un blu di prussia, un nuovo pennello di martora, una tela.

Dopo quel tempo meraviglioso e incantato persi di vista il maestro che era andato a stare a Pinerolo. Vent'anni dopo l'ho rivisto un giorno in collina. Non era cambiato niente: stesso l'aspetto tormentato e felice, stessa bicicletta arrugginita, stesso cavalletto legato sul portapacchi. Dopo quell'incontro una visita a casa sua mi lasciò sbalordito. I suoi acquerelli che già ammiravo allora ancora più delicati, i paesaggi schizzati ancora più nervosamente e leggermente, le sue statue (che ricava da radici di bosso), i suoi frati, i suoi cristi ancora più stilizzati, ridotti all'osso per una rinuncia - quasi ossessiva - di tutto quanto è superfluo oltre l'espressione.
Chi non ha mai visto i suoi gruppi lignei si è perso qualcosa di bello nell'accezione più vera del termine: si tratta di tutta una umanità fatta di umili, di poveri cristi, di gente che porta il peso di ingiustizie e di una vita difficile. Carena "scava" sempre di più nei suoi "personaggi" (sia che usi la pittura o la scultura), cerca di andare più a fondo, è nemico di ogni ammiccamento estetizzante. La sua arte non lascia mai indifferenti: che piaccia o non piaccia.
Ma, ritrovandolo, quello che mi ha stupito in lui e che, nonostante il passare degli anni, non cede di un millimetro - anzi - nella sua ricerca di nuove forme espressive.
Valga un esempio per tutti. Lo scorso anno ha dovuto subire un'operazione presso l'ospedale "Agnelli". Rimanere una settimana a letto senza creare niente per lui è un problema. Così si è fatto prestare dal chirurgo il bisturi elettrico e con quello ha scolpito dal polistirolo madonne e frati di grande bellezza e efficacia lasciando stupiti medici ed infermieri.
Ecco questo è Giovanni Carena.
Per questo dico che è un artista da scoprire e merita di essere scoperto.

"L'alternativa Socialista", 10 ottobre 1978 Aldo Rosa

 

Un artista in trasferta

Preso dal fascino che da ogni parte spira nell'Umbria tuttora profondamente legata al suo medioevo, il pinerolese Giovanni Carena non ha esitato a cimentarsi nella realizzazione di un vasto ciclo pittorico-decorativo che gli era stato richiesto per una moderna chiesa della periferia di Terni. L'edificio, ideato dall'architetto Nicolosi e dedicato all'Immacolata Concezione è costituito da una struttura in cemento armato visibile tanto dall'esterno, quanto all'interno con tamponature disegnate da calcolati ricorsi in pietra calcarea di Labro e listature di mattoni.
Ma il Carena ha avuto a disposizione l'intera parete absidale e la fascia perimetrale che si sviluppa in basso lungo entrambi i fianchi nonché i pilastri, che delimitano la navata creando un organismo pittorico d'effetto sicuro e ben connesso col motivo teologico che ha suggerito l'intero disegno compositivo. Quasi fosse il punto d'incontro tra cielo e terra, l'abside dominata al centro da un'alta croce, raffigura il firmamento popolato dagli astri accanto ai quali, sulla sinistra, campeggia la figura della Immacolata, mentre su un piano inferiore, ai piedi d'un paesaggio collinare, in un gruppo di religiosi e fedeli si distinguono i personaggi di S. Francesco e S. Chiara. Come nelle altre figurazioni in cui il colore si limita a pochi cenni, quasi una sottolineatura dell'affresco in bianco e nero, Giovanni Carena ha via via attinto ad episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento, alla tradizionale iconografia delle "stazioni" della Via Crucis sulla parete sinistra come ad alcuni brani tratti dagli "Atti degli Apostoli" sul lato destro. Non mancano tra i protagonisti delineati con estrema semplicità Mosè che fa scaturire l'acqua dalla roccia ed Elia, così come si ritrovano le immagini dell'Addolorata e di S. Giovanni Evangelista, e le simbologie del Battesimo e dell'Eucarestia, come sacramenti fondamentali del Cristianesimo. Alla maniera antica, nell'angolo destro dell'affresco absidale, Carena non ha mancato di ritrarsi, fedele tra i fedeli, sotto un cappelluccio dalla larga tesa e un grande cartiglio sotto braccio con la firma e la data del componimento dell'opera "Carena G. / da Pinerolo / 1982".

"LA STAMPA", 7 Settembre 1983 Angelo Dragone

 

Carena ha messo insieme Lutero, Francesco e Paolo VI

I grandi riformatori della Cristianità, tutti insieme, in un affresco di Giovanni Carena: Lutero, Calvino, Atenagora, Paolo VI, San Francesco, San Domenico, Santa Teresa D’Avila e Santa Caterina da Siena. Accanto a Lutero Giovanni Paolo II in ginocchio.
Un atteggiamento che farà sicuramente discutere i fedeli della Parrocchia Madonna di Fatima dove quanto prima farà bella mostra l’affresco di 4 metri per 6. L’originale idea – che non ha precedenti nella Diocesi e forse nemmeno in altre Parrocchie italiane – è del dinamico Don Paolo Bianciotto e della sua Comunità che l’ha approvato dopo alcuni animati incontri. “Vede – interviene Don Paolo con calore – La Madonna di Fatima ha parlato delle sofferenze del Signore e fra le tante ci sono, purtroppo, le divisioni … In questo Anno Santo noi proponiamo la Riconciliazione. E l’affresco che dominerà la balconata alla chiusura dell’Anno Santo vuole essere il nostro piccolo contributo alla causa dell’unificazione, dell’Ecumenismo!…” Ho esaminato nella Casa Parrocchiale i due disegni presentati dal concittadino Giovanni Carena che presentano pochissime differenze fra di loro.
Sullo sfondo campeggia il Crocifisso mentre in primissimo piano l’uno affianco dell’altro Giovanni Paolo II e Lutero, ma il primo appare sempre inginocchiato – Don Paolo, interpretarlo nel senso che la Chiesa ha capito i suoi errori e il Papa li ha riconosciuti? …
“Certamente, è il suo esempio …! Tuttavia, io penso che il messaggio più immediato si possa ricavare dall’affresco si possa condensare così: Esigenza di essere vicini ai Fratelli – Impegno a partire per primi – Il portare la Croce come fondamento ineliminabile di salvezza. Ma, ripeto, l’importanza a volere restare l’uno accanto all’altro in atteggiamento di “vera comunione” …”.
Un affresco che dovrà certamente dare un deciso contributo alla formazione di una sempre più convinta “coscienza ecumenica”. Non è così, Don Paolo? … “Certo. Io credo fermamente nei “segni” e di strada per la formazione di una matura coscienza ecumenica dobbiamo farne ancora parecchia …!” Lutero e Calvino, i grandi riformatori protestanti, accanto a Paolo VI e a Giovanni Paolo II.
Un accostamento inimmaginabile in altri tempi, e non certo molto lontani.
Abbiamo chiesto le impressioni in merito a Tota Maria, la Segretaria della Parrocchia. 79 anni, da 10 in Parrocchia come “braccio” fedele del Parroco. E Tota Maria ha dipanato in breve ma intensa successione il film dei suoi ricordi a contatto dei suoi amici Valdesi.
Quanta commozione al ricordare amici e amiche morte tanti anni fa. E allora, accompagnarli nell’ultimo saluto era quasi peccato … Ora tante cose sono cambiate e Tota Maria mi dice di appoggiare pienamente e con entusiasmo l’iniziativa dell’affresco ecumenico.
“Ci voleva proprio! Mi dice nel suo caldo piemontese …” Da Tota Maria ad una giovane Signora, una catechista di 42 anni, insegnante, con tre figli.
La Signora Margherita P. è altrettanto convinta della validità dell’iniziativa. “Ma che non ci si fermi a questi gesti! Occorre che facciano seguito “fatti concreti” e soprattutto che all’apertura di una parte corrisponda l’accettazione dell’altra. E sarà solo dalla “reciprocità” dei gesti che potremo misurare il successo delle iniziative di apertura ai fratelli …”.

“L’Eco del Chisone” giovedì 8 marzo 1984 Loris Buczkowsky

 

I semi che germogliano: il miracolo di Natale

Dai banchi e dalla cattedra della scuola elementare, al cavalletto in studio o all'aria aperta, Giovanni Carena (1915) schizza, disegna, dipinge, modella, intaglia legni da una vita. Nella sua casa, nella centrale piazza Fontana, all'ultimo piano, tutto esprime questo suo vigore, tra il profumo della pipa, il conversare della moglie, la telefonata di mar da Roma, i gridolini della più giovane figlia di Silvano che ride e si diverte a disegnare sui foglietti la barba del nonno. Siamo vicini a Natale e sul tavolo alcune "maternità" lignee assistono alla nostra conversazione.
Se non mi sbaglio, ho notato che nel vasto ciclo pittorico di Terni non hai rappresentato il "natale".
Mi aspettavo almeno una pennellata, visto che, proprio in terra umbra, Francesco ha "inventato" il Presepio.
All'inizio avevo preparato due bozzetti: una natività nel filone della tradizione sacra e una col presepe di San Francesco. Francesco si deliziava nel contemplare il Bambinello tra le sue braccia, attorniato dai fraticelli e dalla gente di Greccio. Poi all'atto della realizzazione, vista la dedicazione della chiesa, si decise per l'Immacolata Concezione, con Francesco e Chiara e il tema ecologico del "cantico delle creature".
Come hai sentito altre volte il grande tema della Maternità di Maria?
In tutte le manifestazioni della vita: i semi che germogliano… tutto è simbolo dell'Eterno manifestarsi… Se dovessi rappresentare oggi una maternità la raffigurerei in un reparto d'ospedale o in una casa dove tutti i giorni, in ogni momenti c'è un natale, una nuova vita…
Ricordi qualche Natale significativo?
Non dimentico nulla. Il bagaglio di una vita è fatto di ricordi belli o brutti che siano. Ricordo con incisività un Natale della mia infanzia. Papà teneva un garzoncello, e quella notte di Natale (quarant'anni fa?…) lui ed io arrotolati in un'unica mantella ci avviavamo alla chiesa. Proprio in quei momenti sfarfallavano i fiocchi di neve, qualche vecchina avanzava ciondolando il lume a petrolio: tutti gli ingredienti e l'atmosfera di un antico presepe! Ricordo un altro Natale, quello del 1942, in Russia. Come tutti i soldatini avevo nostalgia di casa: la notte santa era il centro delle nostre conversazioni. Mi venne un'idea: su un cartone ondulato, con un po' di tempera, schizzai una Madonna, un San Giuseppe, qualche angioletto, un Gesù sulla paglia, poche pecorine e pastori. Ritagliai il tutto e si montò il "nostro" presepe. Era una quadro di autentica poesia…, un po' meno il "cenone" fatto di arrosto di gatto con olio di ricino. Non avevamo altro!

"L'Eco del Chisone", Giovedì 12 Dicembre 1985 Mario Marchiando Pacchiola

 

Le bambole di Giovanni Carena

Le bambole di Giovanni Carena non stanno quiete come nature morte: tacitamente presenti nei paesaggi silenziosi, curiosamente affacciate sugli oggetti, intente a teneri gesti o protese a interrogare con gli occhi lo spettatore, sono sempre la prima battuta di un dialogo, un inizio. Delineate nei colori tersi dell’acquerello, solo con gli occhi scuri assolutamente vividi, acquistano la loro inquietante profondità.
Queste bambole hanno più di una storia nel rapporto con il loro autore. La prima è la storia della loro ideazione artistica, che si inserisce perfettamente nel discorso che Carena fa da tanti anni, di un’arte vigorosa e con radici profonde, solo ingannevolmente fragile nella levità delle forme e nella dichiarata predilezione, per l’acquerello, che tra tutti i mezzi della pittura è quello che consente la maggior trasparenza, a condizione di una abilità tecnica rilevantissima.
La seconda storia riguarda la destinazione; un dono che dei quaranta esemplari presenti in mostra il pittore ha fatto alla moglie, che intende destinare i proventi ad un’opera di pietà religiosa e nello stesso tempo di conservazione di un edificio artistico: la chiesa pinerolese di Maria Liberatrice, nel centro storico.
Questa seconda storia, seppure a prima vista marginale in relazione alla interpretazione artistica vera e propria cui lo spettatore deve in prima istanza consegnarsi, viene di fatto a completare efficacemente una immagine ed un concetto che dell’arte stessa Carena ha.
Dipingere è dunque una necessità interiore, che trova la sua ragione di apparente gratuità, nel suo accostarsi a valori e significati assoluti: dopo ciò, la sua destinazione è e non può non essere sostanzialmente affettiva, destinata a chi possa emotivamente ed ideologicamente penetrarne le vie.
Il lavoro di Giovanni Carena è un dono, sia nella forma del dipinto, sia nella pittura su ceramica o su altri supporti, cui egli si dedica con altrettanta attenzione e fecondità.
Ma è anche – e non sembri contraddizione – operare il silenzio in sé come rivelano forse meglio di tutto le sue sculture, di preferenza in legno, nelle quali la ricerca dell’assoluto e dell’essenziale tocca i suoi vertici maggiori.
Tutto ciò consente di esplorare più a fondo, più compiutamente il mondo segreto cui l’aspetto enigmatico ed inquietante delle “Bambole” della mostra allude continuamente.

Presentazione per la Mostra Personale “Palazzo Vittone” Pinerolo – Maggio 1986 Donatella Taverna

 

In terza elementare arrivò lui: Giovanni Carena

Qualche volta andavo a trovare un Anziano Airaschese che si era stabilito a Pinerolo.
Poche volte, per la verità; credo non più di una decina in trent’anni. Ma sempre si trattò di incontri che avevano il dono dell’intensità.
L’avevo conosciuto a scuola, alle elementari. Eravamo abituati a “maestria della penna rossa” e a maestri perfettamente rasati, con basette inesistenti, maniaci della ginnastica, secondo una moda fascista che in quel finir degli anni’40 tardava a morire.
Ed ecco che, in terza, arrivò lui: alto, magro, vestito di fustagno, con la barba. La sua figura aveva più dello zingaro che del maestrino. Era inevitabile che, a noi ragazzi, piacesse subito.
Poi iniziò l’insegnamento e, con questo, la festa. Quello strano maestro non ci tediò (oltre il minimo indispensabile) con la storia o l’aritmetica; le sue materie principali furono due: la storia naturale e la pittura ad acquerello. In pochi mesi la classe s’ingombrò fino all’inverosimile di vasi contenenti animali sotto spirito e fogli d’erbario. “Fortuna” che la direttrice era cieca!
Oltre che zoologo il maestro era un artista: modellava la creta, scolpiva il legno e, soprattutto, si dedicava ad un’arte difficilissima alla quale ci iniziò subito: la pittura ad acquerello. Era curioso vedere quell’uomo così virile, persino rude, tirar fuori una sensibilità femminea nella composizione dei colori. Scoprimmo che la base di quella pittura non è il colore ma l’acqua: elemento di cui il maestro faceva un uso controllato e spericolato insieme. Aveva tutto del vero artista: era povero, tormentato, perseguitato da un demone interiore che non gli dava tregua.
Ricordo ancora i suoi paesaggi di quel tempo: terre limacciose, cieli viola che grondavano di nubi, carri di contadini che correvano sul filo dell’orizzonte, alberi come fantasmi. Questo alto senso della tragedia (che è proprio di ogni autentico artista) trasudava perfino dagli stupendi vasi di fiori e dalla nature morte. Ovunque dominava il viola sporco, il marrone, il rosso ruggine. Ovunque un sospeso silenzio incombeva su persone, case, oggetti.
Poi il trasferimento a Pinerolo, città che pareva potesse ampliare il suo respiro e la sua risonanza. Ma, fatte alcune eccezioni, non fu poi così; credo che non si trovasse bene nelle conventicole di artisti pinerolesi, credo che gli mancasse la tragicità della vita contadina, credo che non sia stato capito come meritava d’essere capito.
Andando a trovare l’Anziano Airaschese, lo scoprivo sempre più solo ma senza più la disperazione feconda dei primi anni a Vigone. Certo faceva e fece ancora cose bellissime e persino croccanti. Ma l’impressione era quella di trovarsi davanti ad un uomo la cui frustrazione, la cui impotenza tarpavano spesso le ali, dando al suo segno una rassegnazione insospettata e, alla pennellata, un tono accattivante che avrebbe certo respinto negli anni “disperati” di Vigone.
Tuttavia rimaneva un grande dell’acquerello.
Ho rivisto l’ultima volta l’Anziano Airaschese qualche mese fa, in occasione di un grave colpo che una sorte non avara di sciagure gli aveva inferto. Era solo, in quella casa che pareva letteralmente crollare sotto il peso di migliaia di disegni, quadri, statue. S’era fatto più magro e come rimpicciolito. Continuava a tirare con accanimento il fumo dalla pipa, come quando entrava in classe, la mattina.
Parlò della sua vita, delle disgrazie che avevano colpito la sua famiglia, senza compiangersi mai. Era appena tornato dai campi dov’era andato per dipingere. Mi descrisse a lungo la tinta dell’erba, delle fronde dei salici, delle montagne che, a sera, si facevano azzurrognole. Vi era, nelle sue parole, nel suo sguardo stanco ma non vinto, un inno alla primavera, alla natura che si risvegliava.
Accompagnandomi alla porta l’Anziano Airaschese già pregustava i paesaggi che avrebbe dipinto, con l’arrivo della bella stagione.
Poi mi dissero che era morto. Non andai al suo funerale: mi fece troppo effetto.
Gli volevo bene.
Su chiamava Giovanni Carena.

“L’Eco del Chisone”, giovedì 10 gennaio 1991 Aldo Rosa

 

Attraverso alla scultura

Il percorso di un artista è, talora, quanto mai vario, diversificato, caratterizzato da ricerche e da innovazioni espressive che ne delineano la personalità e la vitalità.
Una vitalità che in Giovanni Carena costituisce una determinante prerogativa, una qualità insita nella sua figura di pittore, di interprete della realtà quotidiana.
Si deve dire che la sua lunga esperienza si è tradotta, principalmente, in una pittura ricca di accostamenti con il paesaggio di Pinerolo o di Airasca, dove è nato nel 1915; in una vicenda legata a un ambiente dal quale ha ricevuto quegli stimoli indispensabili per ricreare, di volta in volta, il fascino di una nevicata o il volto di un fanciullo, la sequenza di immagini di una ipotetica galleria di personaggi o lo scatto di un atleta colto nel momento di massimo sforzo.
In ogni caso, Carena ha trasmesso al soggetto una leggerezza di volumi che si è fatta apprezzare in occasione delle mostre personali e delle collettive, mentre la disinvolta grafia ha conferito una propria individualità agli autoritratti, alle maschere teatrali, ai profili di bambine.
Per questa retrospettiva, organizzata dalla “Galleria Losano” a tra anni dalla morte, vengono proposti disegni dalla nitida impostazione, risolti con un tratto immediato, a volte rabdomantico. Disegni che sono riemersi dalle cartelline custodite dal figlio: testimonianze di un itinerario che ha toccato i vari aspetti dell’arte contemporanea, pur restando fedele alla tradizione figurativa di scuola piemontese, a quell’universo di luoghi, di incontri, di sensazioni che presiedono alla formulazione e alla risoluzione della rappresentazione.
Accanto ai disegni vi sono le sculture che, nella maggior parte dei casi inedite, costituiscono, in qualche misura, una scoperta, un recupero, un piacevole ritrovamento tra le tele, i “fogli” di grafica, i colori e gli oggetti dello studio.
E su queste sculture, in gran parte di piccole dimensioni, si concretizza l’omaggio all’artista che, dopo il diploma magistrale, si iscrisse all’Accademia Albertina di Torino, che non frequentò a causa della Seconda Guerra Mondiale. All’inizio degli Anni Quaranta fu inviato in Russia con l’ARMIR. Dipinse, perciò, il paesaggio della steppa, rivelando una indubbia predisposizione alla pittura, che approfondì, successivamente, alla Scuola di Paulucci.
Le opere di quegli anni appaiono risolte secondo i canoni della cultura figurativa del Novecento: dai robusti paesaggi montani a qualche concreta figura femminile, dalle composizioni floreali a quel ciclista con la cassetta dei colori che è il simbolo del suo “viaggio” attraverso la natura: “a cavallo – ha scritto Mario Marchiando Pacchiola nel volume “Cittadini del Mondo” – della bicicletta … col cavalletto legato alla schiena, verso la pianura pinerolese, si perde in mezzo al grano e ai fiordalisi …”.
E questa immagine rimane indelebile nella memoria, nel cammino di Carena e nelle esperienze di quel cenacolo artistico pinerolese che annovera, nel tempo, pittori e scultori come Sofia di Bricherasio, allieva del Delle ani, e Bertea, esponente con il pittore della Scuola di Rivara, Beisone e Giovanni Taverna, la significativa stagione di Felice Carena di Cumiana e le vedute di Faraoni, che seguì gli insegnamenti di Teonesto Deabate, sino alle pagine di Michele Baretta di Vigone.
Carena appartiene, quindi, a questa area, a una dimensione che trovava riscontro nell’interessamento di Valinotti e di Italo Mus, di Vellan e di Manzone, di Tallone e di Micheletti.
Artisti che incontrava, inoltre, in occasione dei raduni a Pragelato, dove si potevano vedere al lavoro Martina, Mencio, Sicbaldi, Terzolo, Tomaselli, Monti e Baretta.
Autore d’opere d’Arte sacra, ha contrassegnato la sua attività con una serie di presenze che ne hanno fatto un pittore popolare, con la capacità di cogliere un’alba rosseggiante e, contemporaneamente, di trarre da un tronco d’albero la rappresentazione di una tormentata Crocifissione, di tradurre l’incanto di una nevicata e di “costruire” un cavallo a dondolo. Vi era in Carena una poliedricità di interventi che testimoniano della volontà di conferire una propria identità ai soggetti presi in esame. Vi era, certamente, una misura d’artista forse un po’ fuori dal tempo, tanto era ancorato a una figurazione classicamente piemontese, ma insieme mosso dall’interiore desiderio di fissare il ricordo di una giornata trascorsa dinanzi a un prato fiorito o nei pressi di un bosco.
Nella scultura, invece, sembra ripercorrere la nervosa sequenza dei disegni con una linea spezzata, talvolta aspra, con qualche accenno caricaturale nella definizione dei visi o dei corpi che prendono forma da una materia scavata con rustica determinazione.
In questi “pezzi” si avverte la solida, grezza, essenziale formulazione di una trepidante maternità di uno spaventapasseri immerso in un’atmosfera pervasa da lontani ricordi, di un nudo femminile o di un Pontefice dalla composta volumetria.
Scultura, quindi, come descrizione delle proprie riflessioni, di quel complesso di emozioni che conferiscono al discorso una limpida veridicità, una poetica del vero che si commisura con l’uomo che legge e con il povero, con il suonatore di fisarmonica e con l’implorazione di una donna, con l’angoscia e il dolore di una umanità reinterpretata con il gusto del racconto che si dipana con semplicità e coerenza.
Come per la pittura, nella scultura carena non è andato a cercare inusitati approdi, lacerate figurazioni, astratte composizioni, ma si è soffermato a considerare le possibilità insite nella materia, che ha modellato con quella stessa sensibilità con la quale ha suggerito una figura sul foglio di carta da disegno.
Un cavallo e cavaliere, una “Sacra Maternità” e una conversazione, trasmettono un clima di intima definizione dell’umanità in diretto rapporto con una spiritualità che ritroviamo, in pittura, nel ciclo di affreschi realizzato nella Chiesa dell’Immacolata Concezione alla periferia di Terni: “Questo ciclo pittorico, nella sua sintesi rappresentativa, nella stilizzazione delle immagini, risolte, peraltro, con buon senso plastico, nulla concede al facile effetto, al gusto edonistico. Le figure modellate con rapidi segni grafici e corpose stesure di colore, costituiscono continuo, allegorico proponimento reso con il linguaggio scarno e penetrante seppure, a volte, con certo compiacimento.
… Il taglio compositivo è spesso risolto con geometrizzazione di forme, con scansione ritmica di piani cromatici … Il linguaggio figurale è serrato, immediato, esclusivamente caratterizzato …”.
Giovanni Carena, indubbiamente, ha espresso visivamente un vasto ed alto messaggio con autonomia di linguaggio estetico ed espressivo pur nel rigore teologico. Il messaggio proposto è immediato e di facile leggibilità ed è reso con rigore strutturale … attraverso una sintesi realizzativi ed una stilizzazione formale che, attualizzando il discorso estetico, lo rende espressione del nostro tempo”.
(Mino Valeri).
In tale ambito, si richiama l’attenzione sulla “Maternità”, in legno di bosso, donata da Carena alla Collezione Civica d’Arte Palazzo Vittone a Pinerolo.
E a Palazzo Vittone ha partecipato a più edizioni della rassegna “L’Arte e il Mistero Cristiano”, curata da Mario Marchiando Pacchiola.
Nel 1987 venne invitato con i disegni “Don Bosco e i giovani” e “L’incontro con Bartolomeo Garelli”, che trovarono posto vicino alla dolcissima “Madonna” di Morbelli e alla “Crocifissione” di Baretta, alla “Natività” di Brolis e a Paschetto, l’alessandrino Morando, Bodini, Longaretti e Michel Ciry con venti suggestive acqueforti sulla vita di Gesù.
Dal legno al bronzo alla ceramica, si chiarisce il discorso plastico di Carena, si esprime una interiorità mai sconfitta dalle vicende quotidiane, mai rinunciataria.
Scultura e pittura e grafica per una stagione dalle alterne vicende, per un artista che ha attraversato le avanguardie del Novecento, senza perdere di vista i campi del pinerolese, i cieli percorsi dal vento, le primavere limpide e luminose; senza dimenticare il fascino del colore che diviene figure e luoghi e sogni che l’acquerello rende visibili, incontaminati, immortali.

Torino, Luglio 1993 Angelo Mistrangelo

 

Chi era Giovanni Carena

Raccogli il tuo pensiero …

Spegni lo sguardo che si è smarrito
Di fronte a creature statiche … immobili …
Emananti nella loro perfezione
Un fluido di sublime sacra divinità.

Guarda i suoi occhi …

Davanti a te è l'immagine di un uomo
Che con le stanche mani ha plasmato creta …
Intagliato preziosi legni …
Fuso il bronzo nel sangue suo bollente …
Dipinto coi colori del Creato tutte le tele bianche …
Osannato Iddio in quelle spoglie e nude mura
Diventate consacrate Chiese.

Ricordalo per sempre …

E' stato solo un cuore
Che ha glorificato il Cielo
Con l'umile umano suo creato.

Raccogli il tuo pensiero
Guarda i suoi occhi
E ricordalo per sempre

Tu pensi fosse solo un mortale uomo?

Pinerolo, Luglio 1993 Gino Lusso

 

Dipinti e sculture

A poco più di quarant’anni dall’esordio alla sociale della “Promotrice”, l’opera di Giovanni Carena ritorna nelle sale della Palazzina al Valentino con una scelta di lavori che attestano il suo lungo cammino d’artista. Un itinerario caratterizzato dall’attiva presenza nelle manifestazioni d’arte pinerolesi, dall’illustrazione di libri, dalle “tavole” d’Arte Sacra che decorano la Chiesa P.P. Oblati e la Parrocchiale Madonna di Fatima di Pinerolo, mentre nella Chiesa dell’Immacolata Concezione, alla periferia di Terni, ha realizzato un ciclo di affreschi, dove “le figure modellate con rapidi segni grafici e corpose stesure di colore, costituiscono continuo, allegorico proponimento reso con il linguaggio scarno e penetrante…”.
Questa mostra rappresenta un momento della sua ricerca espressiva, di un dettato sempre venato dalla volontà di cogliere i vari aspetti della natura e della figura umana.
L’incontro con i suoi quadri e le sculture appare ricco di riscontri con un mondo di sereni accadimenti, di giornate trascorse nella campagna nei dintorni di Pinerolo: “a cavallo della bicicletta … col cavalletto legato alla schiena … si perde in mezzo al grano e ai fiordalisi …”. (Mario Marchiando Pacchiola).
E in quell’ambiente, Carena ha partecipato ai raduni dei “Frères d’Art” e a quelli dei pittori piemontesi in val Chisone, contrassegnati dall’adesione di personalità come quelle di Riccardo Chicco, ironico e dissacrante autore di composizioni espressionistiche, e di Mencio, di Deabate e Manzone, Martina, Monti, Sicbaldi e Terzolo. Soprattutto, direi, la sua vicenda si pone nel contesto della cultura figurativa a Pinerolo insieme alla fresca vena narrativa di Baretta e alle stilizzate figure di Borgna, alle nature morte di faraoni e alle immagini della Tolomeo.
In questo contesto ha preso forma e consistenza e limpida connotazione la pittura di Carena, le statuette di legno elaborate secondo l’antica tradizione degli intagliatori dell’alta valle, i bronzi dalle superfici ruvide con le figure di donna, animali, giocatori di pallacanestro, viandanti, tenere maternità, suonatori di chitarra. A tali soggetti fanno riscontro le terrecotte, in gran parte inedite, che rivelano la sua capacità nel fissare con immediatezza un’idea, un’intuizione, una sottile emozione.
E sotto le abili mani di Carena la “terra” si è trasformata in figure femminili distese, sedute, piegate. Il modellato è abbozzato con freschezza d’intenti, con una misurata interpretazione dei soggetti che, di volta in volta, ritornano nelle sue opere con la possibilità di comunicare, di raccontare, di trasmettere il senso più profondo della vita: “Per dipingere ho bisogno di gente, di rumore; quando sono solo non dipingo mai. Tracciare le prime bozze di una tela o di un acquarello devo almeno osservarlo dieci – dodici volte prima di convincermi della sua bontà … Il colore per me è determinante in un quadro, ma a questo si deve aggiungere la forma …”.
Il colore assume, perciò, un determinante e decisivo valore nei dipinti di Carena. Il colore diluito degli acquarelli e quello più intenso degli oli, il colore e smalto delle ceramiche e quello naturale del legno, rappresenta il segno indelebile della stagione di un artista che ha saputo cogliere, con continuità, i vari aspetti del paesaggio.
E così il suo discorso è fluito attraverso alla luminosità dei cieli primaverili con gli alberi in fiore, alle fredde impressioni invernali, sino alla luce accecante dell’estate e alle rosseggianti vedute dell’autunno.
In ogni caso, le pagine pittoriche di Carena hanno il sapore di un’indagine estremamente vitale intorno al paesaggio, ai luoghi dell’infanzia, alla realtà quotidiana che lo circondava: “Per me la pittura è tutto, ogni quadro è un’esperienza nuova; della casa … non mi sono mai voluto interessare: sono fuori del mio ordine mentale. Ed è per questo che nel cuore sono sempre giovane malgrado gli anni; come tutti i giovani, sono un ingenuo …”.
Una pittura, come è stato più volte ribadito, che è trascrizione immediata delle alte vette innevate, dei declivi collinari, degli alberi nel vento, dei vicoli e degli antichi palazzi di una Pinerolo profondamente amata: “Carena – ha scritto Mario Marchiando Pacchiola – si è addentrato nell’animo della vecchia Pinerolo, più che per tramandarci il brandello di un muro merlato, per farci conoscere la vita di quelle case, il respiro della gente … angoli poco noti, i più nascosti che gli si sono rivelati tra i più interessanti pittoricamente … e che lui ha affermato con una rapida annotazione grafica sul foglietto del taccuino o campito col pennello a larghe macchie di acqua e colore …”.
Un ritratto di ragazza, un mazzo di fiori, una natura morta con bottiglia della fine degli Anni Sessanta, contribuiscono a chiarire l’iter di questo artista che oggi ritorna in questa sede con una retrospettiva che permette di ripercorrere alcuni istanti del suo percorso. Dai paesaggi della steppa, ripresi in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, alla frequentazione dello studio di Enrico Paulucci, dai raccolti intensi del 1945 alle bambole, dalla lunga serie degli autoritratti (in particolare si segnalano gli schizzi dal tratto sicuro, rapidissimo, vibrante) alle composizioni con oggetti e cardi, si identifica l’essenza di un’attività che svaria da una controllata e “classica” figurazione a più espressionistiche interpretazioni sorrette dalla forza del colore, mai estenuato ma pulsante di un’interiore energia.

Presentazione per la Mostra Antologica, “Dipinti e Sculture”,
Promotrice delle Belle Arti al Valentino, Torino, 28 Gennaio – 20 Febbraio 1994

 

Una riflessione austera su Cristo nell’opera di Giovanni Carena

Se si vuole conoscere a fondo la religiosità pittorica di Giovanni Carena, nativo di Airasca (Torino) 1915, pinerolese di adozione fino al 1990, anno della sua morte, non possiamo fare a meno di accostarci all’opera sua più grande e significativa: i dipinti della chiesa dell’Immacolata Concezione, al quartiere Polymer di Collescipoli nel ternano (1982).
Una folla di santi, ma anche tanta umanità; molte nuvole ed angioli, soli ed astri, ma anche tanta quotidianità. Qui veramente si congiungono materia e spirito: è Francesco che predica la povertà, ma la povertà gli sta accanto con la sofferenza. La gioia non è appariscente, è una gioia interiore che accetta la fatica come compagna di vita: tutto è donazione di amore e di grazia ai piedi della Vergine.
Tra abside e colonne una sfilata di uomini di Dio. Dall’antico al nuovo Testamento. E poi, lasciato il cromatismo acceso, ecco illuminarsi la continuità del cammino segnino della Croce: protagonista il Cristo tra la gente di oggi, violenza di ieri e di oggi, carità come valore perenne ed unificante.
Giovanni Carena lo troviamo tra queste figure forti, nate da un segno incisivo, che scava e che nulla concede alla soavità, ma che induce ad una riflessione austera. Così oggi, in questa mostra, ritroviamo Cristo sul calvario, e ritroviamo l’autore nelle scene dove la gente partecipa ad una condivisione di sentimenti, tra fede e condizione umana.
Gente e paesaggio: temi consueti di Giovanni Carena nella vasta produzione pittorica, indagine coloristica e sentimenti umani che hanno reso il suo autore tanto popolare, a contatto con la campagna e i suoi casolari, l’antico borgo cittadino, il seminatore e il viandante, il bimbo e la madre, il canto di un gallo e il tepore di una stalla.

Da “I quaderni della Collezione Civica d’Arte” Palazzo Vittone, Pinerolo.
Q. 48, l’Arte e il Mistero Cristiano 1999.

Mario Marchiando Pacchiola

 

Note sulla biografia di Giovanni Carena

Perché non "note biografiche" o, ancor più semplicemente "biografia"? si chiederà qualche lettore, pensando all'uso comune per questa sezione dei cataloghi di mostre. Molte volte abbiamo anche noi usato questa terminologia diffusa, ma ogni tanto qualche ripensamento è opportuno. Senza contare che ogni artista - ogni articolo, ogni catalogo, ogni pubblicazione, ogni opera, come del resto ogni essere umano - è un fatto unico, per cui di volta in volta bisogna calibrare i parametri.
Le motivazioni della nostra scelta, in questo caso, sono da riferirsi ad una già esistente e particolareggiata scheda biografica inserita nel catalogo pubblicato in occasione della retrospettiva tenuta presso la galleria Losano di Pinerolo fra settembre e ottobre 1993, che nella sua schematicità suggerisce molti spunti.
Quando Carena nasce ad Airasca, si avvertono nell'aria e nelle coscienze le trepidazioni per l'entrata in guerra dell'Italia. Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / de' primi fanti il ventiquattro maggio / …: è infatti il 9 maggio 1915, quando egli emette il primo vagito, e nel grande ventre della Storia tutto è già compiuto per l'ingresso nel conflitto dell'Italia. Non meno tesa l'atmosfera nell'anno in cui egli consegue il diploma magistrale: è il 1938 e la Storia entra anche violentemente nella vicenda individuale del Nostro, poiché a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale egli non può frequentare i corsi dell'Accademia Albertina di Torino. Anzi, di lì a quattro anni egli conosce l'esperienza diretta della guerra, arruolato nell'Armata Militare Italiana in Russia, in quell'ARMIR, di cui pubblicazioni come Centomila gavette di ghiaccio hanno offerto un quadro, più che semplicemente efficace, lacerante: un'esperienza dura, che tuttavia presso molti intellettuali è feconda di spunti e di crescita interiore. Infatti il suo personale diario è fatto di immagini tratte dalla desolata steppa in cui si trova a condividere con la Morte, giorno dopo giorno, la propria esistenza. Ma per gli Eletti l'esperienza di morte si trasfigura in profonda esperienza di Vita: così da quel conflitto, assieme a tanta poesia, letteratura, arte figurativa, prendono forma i Paesaggi di guerra di Giovanni Carena. Esaminato nella nostra prospettiva di posteri, tutto in quella situazione, che, vissuta, non fu certo "piacevole", conduce ad una sua profonda maturazione artistica.- Poco dopo il ritorno, egli conosce una fortunata stagione di esposizioni e di riconoscimenti: le schede biografiche riportano proprio a partire dal 1948 una intensissima stagione di mostre e di premi, da quelli della Società Operaia Pinerolese, alla mostra curata dal comune di Vigone, all'inizio della serie di partecipazioni alle Promotrici torinesi.
Paulucci, Deabate, Valinotti sono fra i suoi "maestri", nel senso che inducono la sua pittura ad una maturazione nell'alveo della pittura contemporanea; tuttavia la frequentazione di esposizioni e concorsi nei quali sono presenti, accanto alle sue opere, le opere dei maggiori esponenti dell'arte piemontese - e nazionale - dell'epoca (citiamo gli artisti con i quali ebbe anche rapporti di amicizia: Paulucci, Deabate, Valinotti, Tallone, Manzone, Vellan, Micheletti, Mus…) è di per sé fattore di crescita, nel confronto, nello scambio, nella reciproca conferma. L'attività espositiva e di pubblicazioni della Civica Pinacoteca di Pinerolo - creata ed accresciuta in modo mirabile dal prof. Mario Marchiando Pacchiola - che lo ha visto sovente fra gli espositori e abitualmente fra i visitatori più interessanti, fino al momento della morte, sopravvenuta il 15 novembre 1990, certamente ha contribuito a quella costante crescita delle conoscenze e delle capacità che deve contraddistinguere l'autentico artista, che costantemente si rimette in discussione, senza di che rischia la sterilità: anche il Museo Diocesano d'Arte Sacra, inaugurato non molto tempo fa, sempre per iniziativa di Marchiando, conserva opere del Nostro, patrimonio che certamente potrà essere incrementato, dal momento che è non importante, ma vitale per un artista restare con una campionatura quanto più esauriente possibile delle proprie opere nel territorio nel quale si è formato ed ha operato. Infatti solo una presenza significativa nell'ambiente culturale che ha generato un intellettuale può, anche - e, direi, soprattutto - per generazioni a venire, dare sempre maggior significato, a mano a mano che si approfondiscono gli studi ed avviene la "decantazione" che il tempo comporta, alla sua arte e alla sua opera in generale. Del resto anche Carena ha saputo gettare molti semi, partecipando a molte esposizioni un po' ovunque e spaziando dall'arte "profana" - se pure esiste un'arte autentica che sia profana - all'arte più specificamente sacra: ovunque le sue sculture in legno, di alto pathos nella loro messa chiusa e nelle forme espressionisticamente articolate, con evidente riferimento alle teorie esistenzialistiche novecentesche, come i suoi dipinti ricchi di colore, ma a campiture ampie, hanno in sé una drammatica concezione dell'esistere che solo nella dimensione religiosa, in senso ampio, può trovare risposte, anche dopo angoscianti silenzi che esse deformano o racchiudono in sé, in masse quasi "sorde" allo spazio che le attornia. E resta la sua tensione a "raccontare" e a "raffigurare" le sofferenze e le gioiose scoperte di un'esistenza che è condotta con gli altri e fra gli altri come in quell'autoritratto tra la folla dei devoti sulla parete absidale della Immacolata di terni, dove si raccolgono in folla attorno ai sacri simboli che li sovrastano le figure e le genti che sono dipinte in teoria lungo le pareti delle navarelle o in modo isolato su ciascun pilastro della navata centrale. E non è di second'ordine questo sentirsi voce della gente, quasi sacerdote che raccoglie desideri e sofferenze, gioie e angosce di ognuno per deporli, già trasfigurati, ai piedi della Divinità.

Torino, settembre 2000 Francesco De Caria

 

RICORDANDO IL M° CARENA

E' ora che passiamo all'altra sponda
Si fa sera - t'ha detto il Signore -
E' scesa allora la notte profonda
E ti son scomparse tutte le pene

Qui finiscono i misteri dolorosi
Vieni nella luce dell'Aldilà:
ti aspettano colori meravigliosi
e paesaggi inimmaginabili!

Ed hai trovato infine la pace!
La rassegnazione e la pazienza
Non avevano un momento di tregua
Era tanta la sofferenza!

L'ultimo saluto dal letto di morte
Te lo ricambio con una preghiera.
Sicuramente sei già in Paradiso
Per le tribolazioni sofferte e la fede vera.

Leggevi le mie poesie con simpatia
Perché ti ricordavano le tue radici
E ti veniva la nostalgia
Di venire a ritrarre il tuo paese.

Ma poi la vita s'è fatta tortuosa
T'ha logorato l'esistenza
T'ha fermato la mano estrosa
Contro il destino non basta la scienza.

Alla tua terra sei ritornato
Ti veglia il Signore dal muro del cimitero
Che con tant'arte hai dipinto.
Qui finisce la tua battaglia.

Ci agitiamo tanto al giorno d'oggi
Cercando benessere, felicità
Poi il traguardo è quello
Di dividere insieme l'eternità.

Maria Pronotto (1907-2003)

 

A nonno Giò

Strano come quel vento di novembre portò via tante cose e allo stesso tempo scolpì nell'atmosfera preziosi ricordi che donano un profumo vivo a ciò che ci circonda.
E noi, che restiamo, non possiamo limitarci ad osservare questi tuoi frammenti eterni; ma ne siamo intrisi, li viviamo intensamente… Ancora ti vediamo con il caratteristico cappello e la solita pipa, mentre corri lentamente sulla vecchia bicicletta, caricando sopra essa i tuoi attrezzi più affezionati: cavalletto, tela e tanto colore…

Ilaria

La vita è piena di immagini, visioni che sono di chiunque in qualsiasi momento, immagini che possono essere diverse a seconda di chi le guarda, impressioni della stessa realtà espressa in maniera diversa.
Alle volte è lo stato d'animo, altre l'esperienza a trasmettere un'immagine che non è più realtà ma diventa fantasia: entriamo dalle finestre nelle case, lungo particolari scorci, l'odore dei funghi dentro vecchie cassette di legno.
E' autunno.
Viaggi attraverso l'immaginazione che può essere?! Nulla.
Guardare e non vedere, o può scaldarci come covoni di paglia al sole nei campi.
Può portarci sui colori dentro le stanze di chi ha creato questi quadri, riconoscere l'odore delle tende, i pennelli… la pipa.
La mia curiosità vede la sua vita in tutti i particolari che posso conoscere e ricordare, la sua, che a confronto con la mia, rivela tante vite, troppe insieme.
Mio nonno… mi impressiono nel riconoscermi sovente in lui, così rimango a guardare la sua caratteristica immagine, come guardassi una tela con freschi fiori o vecchi cardi… incantata.

Chiara

Mostra personale - Galleria Losano 2 dicembre 2000 - 7 gennaio 2001

 

Ritorno a casa.

Il 9 maggio 1915 Giovanni Carena nasceva ad Airasca, paesino della pianura agricola pinerolese: prati e campi, le case del centro storico, il campanile della chiesa, carri e biciclette.
Ritorna ad Airasca nella primavera 2006. L'area cittadina si è allargata: condomini, stabilimenti, auto, toccata dall'autostrada.
Giovanni vi ritorna portando la poesia della sua pittura, pittura dell'anima di casa, respiro di cielo, respiro di verdi e di fiori, di pioppi e di betulle. Case e cascine sull'orizzonte, campi di grano, colline e montagne sul profilo.
Profumo e nostalgia di fiori recisi, di frutta colta dall'albero prolifico.
Profumo di cose di casa; qualche altro squarcio del suo pellegrinare: il mare, le barche, memoria di uomini e di donne e di bambini con l'animo che guarda in alto. Giovanni torna a casa da gran pittore e scultore personalissimo.

Mostra personale 01-09 aprile 2006 - Salone dell'oratorio parrocchiale - Airasca Mario Marchiando Pacchiola

 

GIOVANNI CARENA
9/5/1915 - 15/9/1990

Eccola, la tua villa.

" … Comprerei una villa con uno studio immenso, con vetrate che guardino verso la città, con porte ampie, ma senza usci, con un forno per riprendere come vorrei la scultura …" - "E perché senza usci?" - "Per sentirmi meno solo quando dipingo, per udire la voce di qualcuno… Per dipingere ho bisogno di gente, di rumore, quando sono solo non dipingo mai."
Interviene la moglie: "Il disordine è all'ordine del giorno della sua attività. Se non dipinge un giorno è già di cattivo umore; per lui dipingere è una necessità: rinuncerebbe a tutto per la pittura".

Questa è la tua villa, il tuo studio …
Qui hai dato vita a creature di straordinaria intensità. Il tuo spirito è per sempre.
È sulle colline verdi e gialle, è tra i cardi e le rose, nei cieli tersi, come sulle candide nevi, nel blu profondo delle marine o tra i covoni al sole. Come nei Cristi sofferenti o nelle Maternità lignee. Tra le pere e il macinino. Tra gli stanchi viandanti bronzei e le umili galline…
La vita è stata aspra con te e tu l'hai ripagata con la bellezza. La bellezza dell'arte, l'arte che usciva dalle tue mani sporche di rossi scarlatti e blu immensi.
Continui a vivere nei ricordi dei più anziani che ti conoscevano e dei giovani che ammirano, senza parole, senza tempo…
È giusto che tu non venga dimenticato, perché hai lasciato troppi segni, sulla terra e nei cuori.

Ilaria Carena